Il termine berbero “tajine” si riferisce sia alla ricetta che all’utensile di cottura, una sorta di piatto di terracotta, sormontato da un coperchio conico, che ricorda un cappello da strega. E c’è qualcosa di magico nella sua preparazione, di una semplicità meravigliosa. Basta mettere gli ingredienti in questa bizzarra pignatta, posarla direttamente sulla brace o su un “kanoun”, ed armarsi di pazienza.
La magia ha inizio. Lentamente. Non c’è bisogno di acqua, olio o altro: i vapori liberati dalla cottura a fuoco lento salgono lungo il cono di terracotta, per ricadere sul fondo del piatto, inumidendo così gli alimenti… E magicamente le carni diventano morbide, e i diversi sapori si sposano con grazia: le prugne o i datteri con l’agnello, i limoni e le olive con il pollo, le uova e i pomodori con i “kefta” (polpette di manzo). Senza dimenticare, naturalmente, le spezie, come zafferano, pepe, zenzero, coriandolo, cannella, cumino… che avvolgono tutto con il loro profumo intenso. La tajine pare sia stata inventata dai berberi, popolo nomade per eccellenza, alla ricerca di un piatto che fosse insieme di cottura e di servizio. In un paese dove l’acqua è merce rara e preziosa, questo piatto di terracotta permette anche di cuocere stufando tutto ciò che offre il territorio: verdure e frutta secca, con pesce o carne.
Qualunque sia la ricetta, il rituale non cambia: si toglie il piatto dal fuoco per disporlo su un tavolo, e si intinge dal piatto con il pane. Questo è forse la magia più bella della tajine: la sua convivialità.